Lo scarico (non fatelo a casa)

Questo mese parliamo di un pezzo della nostra moto che gode di una certa popolarità, per quel che riguarda la parte più visibile e appariscente ma che, in realtà, è in generale poco conosciuto sia nel funzionamento sia nella manutenzione che – come per tutte le parti delle due ruote, anche in questo caso deve essere regolare e puntuale: il sistema di scarico

Il rombo delle nostre due cilindri, o il ronzio armonico di certe quattro cilindri viene potenziato, enfatizzato, gli si dà corpo e se ne ascolta con piacere il sound, emesso da quel tromboncino finale che è il terminale del sistema di scarico, che ne mette in luce le qualità… musicali.

In realtà, prima ancora, e ancor di più del terminale (senz’altro importante nella gestione del motore, e dopo vedremo il perché) bisogna dare la giusta attenzione a tutti i “tubi” che dal motore portano i gas espulsi nell’aria.

Collettori di scarico, una delle parti fondamentali per le prestazioni

Sarebbe più preciso sostituire il verbo “portano” con il verbo “estraggono”, fino a disperderli fuori dal terminale, questo perché tubi e collettori, a parte la gestione tramite la sonda lambda dell’alimentazione del motore e quindi dell’emissione dei componenti più tossici dei gas combusti, sono in realtà, meccanicamente, la componente più importante di tutto il dispositivo che elimina i gas di scarico.

Per dirla in maniera il più semplice possibile i fumi che escono dal motore non sono semplicemente espulsi per “pressione” dall’interno, ma, in virtù della forma costruttiva di tubi e collettori, vengono appunto realmente estratti sfruttando un semplice principio fisico di cui prima o poi avremo tutti sentito parlare: l’effetto venturi.

tubo forato attraverso il quale passano i gas di scarico a 600/800°

Di cosa stiamo parlando?

Su cosa si basa questo principio?

Ricordiamo brevemente di cosa si tratta: un fluido – che non significa solo un liquido ma anche un gas – se costretto a passare attraverso un condotto che presenta uno strozzamento, aumenta la propria velocità, non solo, tende ad “acchiappare” quello che lo segue per tirarselo fuori dal condotto nel quale è costretto.

In definitiva alla fine non è necessario che il motore “spinga” fuori i gas di scarico perché questi saranno “risucchiati” all’esterno in virtù di questo principio fisico così sommariamente descritto.

La progettazione dell’impianto determina notevolmente anche le prestazioni del motore: allungo, potenza e coppia sono strettamente legati alla forma, alla lunghezza, al diametro dei condotti di scarico ed alla forma ed alla cubatura interna del terminale.

Anche il posizionamento del terminale è una scelta tutt’altro che casuale, un terminale posizionato sotto al motore ad esempio aumenta l’accentramento delle masse migliorando il comportamento dinamico della moto, uno scarico posizionato sotto al codone invece teoricamente tende a migliorare l’allungo del motore grazie a condotti più lunghi.

A questo punto dobbiamo quindi capire che per poter procedere a questa “estrazione” tubi e collettori devono possedere una particolare forma costruttiva che, in ogni modo, non è realizzata a caso, in sostanza devono essere dei veri e propri tromboncini che presentano un restringimento verso l’estremità distale, ovvero verso la parte esterna, solo dopo verrà inserito il terminale di gran nome (e prezzo, come ben sappiamo, nei casi dei marchi più prestigiosi).

l’interno del collettore: la disposizione delle sezioni è la vera responsabile delle prestazioni del sistema di scarico

Per spiegare la cosa con un altro esempio, forse più chiaro, chi possiede un caminetto sa bene che per garantirne il tiraggio che porti all’esterno il fumo provocato dalla combustione dei ceppi il tubo deve avere certe caratteristiche che richiedono un minimo di studio: lunghezza e forma.

Quando il caminetto non “tira” e riempie la stanza di fumo significa che qualcuno di questi parametri non è stato ben calcolato e, se avete dato un’occhiata alla cappa vi sarete resi conto che il condotto tende a restringersi verso la parte terminale, e saprete anche che se non raggiunge una certa lunghezza la sua efficacia è ridotta.

È chiaro che nelle moto di serie questo componente è studiato ad hoc per raggiungere prestazioni medie, ma volendo incrementare le prestazioni della nostra moto o ottimizzarle può essere necessario farvi mettere le mani, magari sostituendo anche in toto il sistema di scarico (e non solo il terminale).

Bisogna sottolineare un dettaglio importante in tutto questo: la moto che esce dalla casa madre ha l’omologazione sia per i contenuti tossici dei gas di scarico sia per il rumore.

Sostituendo l’impianto, spesso si potrà avere l’omologazione dei decibel ma non quella del contenimento di polveri sottili e dei gas incombusti mettendo, alla fine, fuorilegge la nostra moto.

È estremamente difficile che qualcuno si metta a smontare il nostro mezzo per verificare il sistema di scarico, però si sappia che esiste questa possibilità…

E passiamo finalmente al terminale, quello che, in certi casi, qualifica l’eccellenza della nostra moto grazie al nome che porta.

Il terminale è costituito da un involucro esterno – costruito in acciaio, alluminio, carbonio, titanio – che viene riempito con del materiale termoisolante e fonoassorbente (spesso, ma non solo, come vedremo – lana di vetro) – che avvolge un tubo forato che, in effetti, è quello che alla fine permette il passaggio dei gas di scarico.

Dicevo “spesso ma non sempre” riferendomi alla lana di vetro perché, per esempio, un celebre produttore di terminali – Akrapovic – fornisce un tessuto con caratteristiche simili ma molto più efficiente, per ragioni che vedremo.

il tessuto speciale dell’Akrapovic, senz’altro il più costoso ma anche il migliore per la funzione che deve assolvere

A cosa serve questo tessuto – definiamolo così anche se in modo un po’ improprio – che è in realtà il “segreto” dell’efficienza del terminale?

Come ho detto assolve a due funzioni: serve a ridurre parzialmente la rumorosità dello scarico e a creare una intercapedine tra i caldissimi gas di scarico (tra i 600 e gli 800 gradi!) e la parte esterna del terminale stesso.

Innanzitutto vediamo come è costruito un terminale: all’esterno troviamo un involucro che nei modelli più prestigiosi è in carbonio o in titanio ma può essere anche in alluminio o in acciaio.

All’interno passa un tubo forato che è il vero e proprio condotto dei gas di scarico, tra questo tubo e l’involucro esterno viene collocato il tessuto di cui abbiamo parlato, in alcuni casi possiamo trovare anche – tra il tubo forato e il materiale fonoassorbente – un secondo tubo realizzato con una reticella dalla trama estremamente fina, questa reticella ha lo scopo di ridurre il consumo del tessuto ma porta con sé come conseguenza una minore efficacia nella funzione di riduzione del rumore, per questo viene usata soprattutto nel racing.

Il principio è semplice: i gas (e il rumore che proviene dallo scarico del motore) passano attraverso lo scarico dove si espandono ma vengono ridotti dalla presenza del tessuto.

Naturalmente, date le temperature, il materiale tende a consumarsi, a bruciarsi (la retina serve, infatti, a ridurre il fenomeno) e se la cosa ha una relativa importanza nei terminali “normali” avendo come unica conseguenza soprattutto un aumento della rumorosità, in quelli in carbonio l’area dove il tessuto si è maggiormente consumato viene a contatto diretto con i gas e “si cuoce” fino al punto che il carbonio si sbriciola, con le ovvie conseguenze soprattutto economiche…

la reticella che protegge il tessuto

La manutenzione dell’impianto di scarico quindi si riduce essenzialmente alla periodica sostituzione di questo tessuto, operazione che – se non si va in pista – il motociclista che si dedica al mototurismo può limitarsi ad effettuare una volta all’anno, ma siccome è in funzione del tipo di utilizzo che si fa della propria moto è meglio rivolgersi ad un meccanico specializzato per capire quali debbano essere i tempi, in una moto dedicata alla pista l’operazione andrà ovviamente fatta con molta maggior frequenza…

Anche senza arrivare ad analizzare l’elettronica del dispositivo catalitico abbiamo quindi visto che il sistema di scarico di una moto è in realtà molto più complesso di quanto si potrebbe pensare e il terminale, per quanto sia la parte più appariscente, è anche quella meno importante, per migliorare le prestazioni.

Anche qua il suggerimento è lo stesso: se volete una moto davvero “vostra”, per quanto il mezzo che esce dalla fabbrica sia “mediamente” corretta, se volete davvero un mezzo su misura per le vostre esigenze, per il vostro stile di guida non esitate a rivolgervi ad un meccanico specializzato che possa mettere a punto anche questo elemento… e vedrete che il divertimento aumenterà, ma vi prego, non provate a farvi lo scarico in garage, se siete giunti a leggere fin qui, “si spera” che abbiate capito che lo scarico della moto una moto è una cosetta abbastanza complessa da realizzare.

Sempre se vi interessa migliorare le prestazioni della vostra moto, differentemente, “Auguri e figli maschi”!!

Destroyer

La forcella

La forcella ha lo scopo di garantire il collegamento della ruota con il suolo in qualsiasi circostanza.
Il collegamento delle ruote con il suolo è indispensabile per garantire un buon orientamento una buona guidabilità ed una buona frenata della moto.
La forcella assorbendo le scosse dovute allo stato della strada permette di aumentare la longevità del motore e del telaio , oltre a garantire una certa comodità al pilota ed al passeggero della moto.

Prenderemo in considerazione 4 tipi di forcella.

 

1 Forcella classica

tradizionale

Di uso generalizzato sulle moto dagli anni 50. Si compone di due parti simili :Un tubo(1) che è mantenuto dalla testa di forcella e che andrà scivolare in un tubo di diametro più grande (la manica (2)) che è legato all’asse della ruota.
La forcella è composta di molti elementi:
1. Il tubo tuffatore: chi si inserisce nella manica.
2. La manica: che contiene l’olio e la molla e che riceve il tubo tuffatore.
3. La molla: che ammortizza e respinge il tubo tuffatore.
4. Il sistema idraulico: che gestisce lo smaltimento dei fluidi.
5. Il giunto spi: permette di conservare una tenuta tra il tubo e la manica.
6. Dell’olio: che rallenta il movimento della molla.

N.B 1: La tenuta tra i due tubi è garantita dal giunto spi che deve essere montato con precauzione per evitare le perdite.
N.B 2: È possibile che la manica sia spostata rispetto all’asse della ruota il che permette di montare elementi più lunghi (utile in qualsiasi terreno ad esempio).
VANTAGGI: Semplicità d’utilizzo. Semplicità di fabbricazione. Conviene perfettamente a più dell’80% delle moto di serie attuali.
INCONVENIENTI: È il tubo tuffatore che è il più sollecitato quando la sospensione lavora. Questo tipo di forcella non può sopportare le sollecitazioni delle moto sportive attuali.
Questo tipo di forcella non può sopportare le sollecitazioni di un utilizzo intenso: Su pista, cross, supercross, supermotard, ecc…
È per questo che la forcella telescopica classica è soprattutto destinata alle moto a carattere “non sportivo”.
N.B 3: La prima moto ad avere utilizzato la forcella classica, fu la BMW R 12 nel 1935.

2. Forcella Rovesciata o USD (acronimo di Up Side Down)

 

USD53-light

La forcella rovesciata funziona nello stesso modo di una forcella classica ma i tubi sono invertiti. È utile ad aumentare la rigidità ad ingombro uguale e diminuire il peso non sospeso.
La manica è mantenuta dalla testa di forcella ed è il tubo tuffatore che è collegato all’asse della ruota.
Utilizzata sulle stradali e le sportive.
L’inconveniente della forcella invertita viene dalla sua rigidità eccessiva che non sempre si adatta allo stato della strada. In realtà, si trova su praticamente tutte le sportive di più di 750 cm3 da una decina d’anni.
Pur offrendo un comportamento piuttosto simile alle forcelle a cartuccia, essa ha un vantaggio non trascurabile rispetto ad essa… la bellezza estetica.
La forcella USD è stata introdotta per la prima volta nel 1985, anche detta “a steli rovesciati”, è una forcella teleidraulica, ma montata rovesciata, questa forcella è stata adottata, per via della maggiore comodità di effettuare le regolazioni idrauliche, infatti con il modello classico le regolazioni si trovano sotto al fodero della forcella, una zona molto scomoda sia per la regolazione che per la progettazione, infatti ne limitava le combinazioni di collegamento della ruota, questi problemi sono appunto stati risolti rovesciando la forcella, mentre le altre regolazioni non hanno avuto miglioramenti (regolazione del precarico).
La ruota viene vincolata agli steli tramite di un ulteriore elemento chiamato “piedino”, ma che nei sistemi più economici è dato dallo stelo stesso.

Questa disposizione delle forcelle, ha qualche svantaggio:
Rapido consumo dell’olio contenuto nella forcella, sia in condizioni normali, sia con paraoli consumati o rotti.
Maggiore esposizione dei steli ad agenti esterni (sassi), ciò richiede una protezione per evitare che si rovinino.
L’attacco per la pinza frenante è meno rigido o piu pesante dato che non si può usufruire del fodero.
Cambio olio delle forcelle piu articolato, difatti con le forcelle rovesciate non si può avere lo spurgo alla base del gambale, obbligando a sfilare il gambale dalle piastre e lo stelo dal fodero per poter rimuovere l’olio vecchio.
Aumento delle masse non sospese, anche se si crede l’opposto per via dei ammortizzatori automobilistici e dei ammortizzatori per i forcelloni, dove lo stelo è estremamente sottile rispetto al fodero, nel caso della forcella non è così, questo perché lo stelo oltre ad avere un diametro molto vicino a quello del fodero, ha anche una lunghezza e un peso specifico maggiore rispetto al fodero di una forcella tradizionale equivalente, mentre i spessori risultano simili.

Questa disposizione delle forcelle, ha come vantaggio:
Dimensioni piu contenute a parità d’escursione, il che la favorisce nelle applicazioni di mezzi compatti che richiedono escursioni elevate.
Regolazioni idrauliche diversamente posizionate, in questo caso sono vicino al manubrio per i modelli senza serbatoio separato, mentre nei modelli a serbatoio separato, queste sono sempre posizionate vicino al piedino della forcella.
Rigidezza torsionale, dato dal fatto che il vincolo alle piastre non è tramite lo stelo, ma tramite il fodero, il quale pur essendo generalmente in alluminio e non in acciaio ha un diametro maggiore, il che favorisce la rigidezza dello stesso che tenderà meno a flettersi, inoltre queste forcelle avendo il fodero più lungo dello stelo e non viceversa hanno una maggiore rigidezza alla torsione.
3. Forcella a Cartuccia :

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Dove la forcella classica raggiunge rapidamente i suoi limiti, la forcella a cartuccia la sostituisce vantaggiosamente.
La forcella a cartuccia è una forcella classica o invertita, ma il suo olio è chiuso in una cartuccia all’interno della forcella.
La cartuccia è composta da due pistoni, per la compressione ed un altro per il rilascio.
Questo principio permette di effettuare facilmente varie messe a punto in compressione ed in rilascio, cosa che è quasi impossibile con una forcella senza cartuccia.
N.B: Per ottenere gli stessi risultati su una forcella classica, occorrerebbe cambiare le molle o la qualità dell’olio.
Questo tipo di forcella è soprattutto utilizzato sulle sportive, su alcune grosse stradali turistiche, su qualche fuoristrada.
4. Forcella a Parallelogramma o “springer”

 

springer
Questo principio è nato all’inizio degli anni 1900 ma verso la metà di questo secolo, questo principio si è visto superato dalla forcella tradizionale.
Il suo funzionamento è abbastanza semplice:
La forcella di sinistra è fissa. (1)
La forcella di destra è mobile. (2)
Una parte mobile collega il fondo delle due forcella. (Vedere fotografia).
Questa parte mobile permette il movimento verso l’alto della forcella (2).
Le molle sotto la testa di forcella superiore (4) sono quelle che garantiscono il lavoro principale della forcella.
Le molle sopra la testa di forcella superiore (5) controllano il rilascio.
Il composto idraulico (3) funziona come su qualsiasi forcella tradizionale.
IN PRATICA: Se prima dell’introduzione delle forcelle classiche negli anni 50, il sistema a parallelogramma conveniva perfettamente alla moto, è certo che è stato detronizzato … forse troppo rapidamente dalle novità seguenti.
Infatti Harley Davidson, interessata a creare una moto per i suoi 85 anni ha deciso di ricreare una moto con forcella a parallelogramma.
Copiando la forcella del 1949, ma adattandosi alle tecniche moderne, sono riusciti a creare una forcella che si comporta meglio di quella dei modelli classici  e ciò tanto in termini di tenuta di strada che d’invecchiamento.
Destroyer

La batteria

INIZIA MALE. La giornata è perfetta, siamo riusciti a trovare il tempo per fare un bel giro con la moto , è tutto pronto, andiamo nel box e proviamo ad accendere il motore, ma la batteria non è carica e riesce appena a fargli fare qualche giro senza riuscire ad avviarlo… tralasciamo i pensieri che ci vengono in quel momento, la giornata è rovinata.

VECCHIA MANIERA Cosa bisogna fare per evitare queste situazioni? Come possiamo tenere in piena efficienza le batterie in modo da poter essere certi di non trovarci gabbati al momento buono? Quando le moto si avviavano con la pedivella (con il volano magnete) si era sicuri di riuscire ad accendere il motore in qualunque situazione: era infatti sufficiente che la batteria fornisse anche pochi volt per riuscire a far partire il motore, magari a spinta, con l’aiuto di qualche volonteroso amico, ma in qualche modo se ne veniva a capo.

ROTTURA SALATA Oggi le moto sono un concentrato di sofisticata elettronica e come tali funzionano solo con la corrente elettrica o almeno è necessaria una buona quantità di energia per far partire il motore. Poi ci pensa il generatore a fornire la corrente necessaria per ricaricare la batteria e alimentare tutte le centraline di bordo (non è raro che un alternatore eroghi 180 A). L’elettronica non è di bocca buona, non sopporta sbalzi di alimentazione, tensioni troppo basse, tensioni troppo alte, neppure interferenze; per questi motivi basta poco a fare arrabbiare con le “Z” quelle scatolette che, quando si rompono, costano più di una rata del mutuo della casa.
da qui la regola di non avviare mai un veicolo di ultima generazione con i cavi, o almeno usare l’accortezza di scollegare i cavi dalla batteria del veicolo “cedente”.

A ZERO Se la batteria va a terra, o se la staccate per sostituirla, possono succedere alcuni guai, a volte anche gravi: Poi potete perdere i parametri autoadattivi del motore (il motore gira male), ma qui basterà aspettare che in una decina di chilometri la centralina si auto-istruisca per ritornare al punto di partenza. Avete tolto la batteria appena spento il motore, senza attendere che fosse terminato il Power Latch (tempo di scrittura dei codici dinamici di sicurezza e dei parametri autoadattivi) e, messa quella nuova, il motore accenna a ripartire ma si spenge dopo solo pochi secondi? Questo perché l’immobilizer non riconosce più la chiave e se non è prevista una procedura di reset con la chiave Master, vi siete cacciati in un bel casino.

MEMORANDA Potremmo continuare una descrizione quasi apocalittica di quello che può succedere ma è meglio dire subito quale sia il banalissimo rimedio: quando si cambia batteria non bisogna lasciare l’impianto del veicolo senza alimentazione, ma è bene mettere una piccola batteria in parallelo, ne basta una di quelle da antifurto (12v 5Ah), in modo da non far impazzire nessuna centralina.(anche se non è una regola fissa)
Poi ricordiamoci sempre di staccare prima la massa e poi il positivo e di riattaccare prima il positivo e poi la massa, di non invertire la polarità (sembra banale ma succede molto spesso a chi fa da sé) e di collegare in modo certo i morsetti, così che non ci sia il pericolo di falsi contatti (motivo di guasto per il regolatore di tensione del generatore).

D’EPOCA E’ NO PROBLEM Se poi dovete proprio staccare la batteria, fatelo solo dopo che il quadro è spento da 10 minuti .
E se siete sicuri che non ci siano antifurto da riprogrammare. Con le moto d’epoca ci sono meno problemi, l’elettronica ha invaso i nostri giocattoli a partire dalla fine degli Anni 70, ma quella da trattare con i guanti bianchi è arrivata solo negli Anni 90. Siete avvisati, fate solo le operazioni di cui siete assolutamente sicuri.

LA REGOLA AUREA Come si fa a sapere se la nostra batteria si scaricherà nel periodo in cui terremo fermo il nostro mezzo? Intanto bisogna considerare che dobbiamo sempre tenere una riserva di energia sufficiente a far partire il motore con qualunque condizione atmosferica, quindi è bene che nella batteria ci sia almeno il 50% della capacità iniziale, e mai una tensione, misurata sotto sforzo (mentre il motorino di avviamento gira), inferiore ai 9 volt, soprattutto se il nostro veicolo è equipaggiato con centraline elettroniche che fanno funzionare iniezione del carburante e accensione. Infatti, in genere, sotto quella tensione l’elettronica funziona male o non funziona affatto. Se poi è installato un immobilizer questo può non riconoscere la chiave con il trasponder e addirittura andare in blocco se, durante l’azionamento del motorino di avviamento, la tensione scende sotto i fatidici 9 volt.

LA MISURA DEL DESTINO In pratica dovete armarvi di amperometro (lo strumento che misura l’intensità dell’energia elettrica) e inserirlo tra batteria e impianto elettrico del veicolo; la misura che leggete, a chiave disinserita e con qualunque accessorio spento, indica quanto viene consumato espresso in A (ampere). Se volete riavviare il motore dopo 30 giorni il consumo non deve superare i 0,6 mA (milliampere) per ciascun Ah (ampere ora), la capacità della batteria (il dato è riportato sull’etichetta della batteria).

AMARCORD Vi ricordate i problemi di matematica delle elementari? Se una vasca contiene 200 litri e perde 2 litri ora quanto tempo ci vorrà per svuotarla?
Ecco questo è il medesimo problema, la nostra batteria ha una capacità espressa in Ah che ci dice quanta corrente possiamo prelevare nell’unità di tempo; senza fare un corso di elettronica, e fidandoci di quanto le case produttrici fanno da tempo, leggiamo il valore di etichetta della batteria, supponiamo 19 Ah, e moltiplichiamo 19 x 0.6: il risultato è 11.4 mA, questo è l’assorbimento concesso per avere ancora la certezza di avviare il motore dopo 30 gg.

EVITA DISPERSIONI Se invece il valore che leggete sull’amperometro è maggiore, per esempio 30 mA , la vostra batteria raggiungerà il 50% della carica in soli 11 giorni, e quindi si scaricherà totalmente in una ventina di giorni. La soluzione totale è quella di staccare sempre il polo negativo della batteria, così non ci saranno i problemi dovuti a dispersioni o assorbimenti, ma questo come detto poco sopra è concesso solo con le dovute precauzioni.

AUTOSCARICA E INVECCHIAMENTO Le batterie, anche se non collegate ad alcun dispositivo, sono soggette ad una lenta ma inesorabile autoscarica, può essere più o meno veloce in relazione alla composizione chimica delle piastre che compongono l’accumulatore e alla sua età, ma comunque, una batteria nuova e pienamente carica andrà ricaricata ogni tre mesi per mantenerla in piena efficienza. Anche se non usata, una batteria invecchia e dopo anni si deteriora perdendo in parte o del tutto la sua capacità, si esaurisce: praticamente diminuisce progressivamente la capacità di replicare il processo chimico con cui l’energia elettrica viene accumulata e poi resa; inoltre, se viene lasciata scaricare completamente, e abbandonata in quello stato, si verifica la solfatazione. Una batteria di primo impianto usata correttamente può durare anche 7/8 anni mentre quelle acquistate come ricambio durano un poco meno (probabilmente non sottostanno ai rigidi capitolati dei costruttori dei veicoli).

SOLFATAZIONE La batteria è meglio se è sciapa, senza troppo sale. Non mi sono confuso con un piatto di spaghetti ma è un fatto che mentre si scarica nella batteria si accumula solfato di piombo (PbSo4 per quelli che ricordano un poco di chimica); quest’ultimo però si dissolverà quando la batteria verrà ricaricata. Se la batteria si scarica a fondo, e viene lasciata in queste condizioni a lungo, il sale per sua naturale disposizione si aggregherà in cristalli molto più difficili da “rompere” nel normale processo di ricarica.

ALLA CARICA! Ci sono procedure per salvare una batteria lievemente solfatata, alcuni caricabatterie moderni lo fanno in automatico, ma oltre un certo livello è necessario staccare la batteria dall’impianto del veicolo e procedere con elevate tensioni a basso amperaggio. Per questo ci vogliono attrezzature specifiche e anche una certa conoscenza della materia. Ricordate che se l’elettrolita ha un livello basso, la parte di piastre non sommerso andrà più facilmente incontro alla solfatazione.

SOVRACCARICA Dannosa tanto quanto la scarica completa, la sovraccarica provoca una “evaporazione” dell’acqua: in realtà si tratta di elettrolisi che scompone l’acqua H2O in H2 e O2, una miscela gassosa altamente infiammabile e esplosiva, per questo motivo sono consigliabili i caricabatterie elettronici che sono in grado di riconoscere il livello di carica e ultimare il processo con una corrente a impulsi in modo di evitare di danneggiare l’elettrolita (quello in gel viene profondamente e irrimediabilmente danneggiato dalla sovraccarica), surriscaldare la batteria, e “gonfiarla” nel caso delle batterie sigillate a ricombinazione di gas.

MANUTENZIONE Un tempo le batterie (definite a vaso aperto) avevano i tappi e attraverso i fori si poteva controllare il livello dell’elettrolita. I più esperti, con uno strumento (il densimetro) verificavano lo stato di carica e salute di ogni cella: se la densità era corretta (1.28 gr per centimetro cubo) la batteria era carica e sana. Era possibile aggiungere acqua distillata per ripristinare il livello appena al di sopra degli elementi e verificare durante la ricarica che il liquido non “bollisse” indice di elettrolisi e eccessiva carica.

EVOLUZIONE DELLA SPECIE Oggi le batterie sono sigillate, senza manutenzione, e alcune hanno il densimetro integrato (la spia che può essere verde, rossa o nera a seconda dello stato). In alcuni casi si usano batterie con l’elettrolita in gel (possono essere montate in qualunque posizione e se un urto rompe il contenitore non perdono acido) che hanno solo il difetto di non sopportare la sovraccarica, che infarcisce il gel di micro bollicine che riducono la capacità della batteria o addirittura la uccidono. Ci sono anche quelle ad acido assorbito (l’acido impregna delle spugne di fibra di vetro); queste godono della tecnologia della ricombinazione del gas, quindi virtualmente non perdono l’elettrolita, ma soffrono per l’eccessiva carica, e offrono doti di robustezza meccanica e ottime prestazioni elettriche.

L’ULTIMA MERAVIGLIA Infine si stanno affacciando le batterie al litio. Il maggiore vantaggio di quest’ultime sta nel peso: a parità di corrente di spunto (quella che serve per l’avviamento) pesano un terzo (ho provato una batteria da 400 grammi che avvia tranquillamente un grosso bicilindrico). Difetti? Prima di tutto il costo: per una batteria da 400 gr ci vogliono 200 euro, e poi ha un grande spunto, ma pochi Ah, quindi non accetta di essere usata a motore spento per tenere accesi gli accessori. Non può essere lasciata scarica a lungo, pena la morte. È chiaro che si tratta di un prodotto riservato alle competizioni o al settore del volo dove risparmiare qualche chilogrammo di peso vale molto, per l’uso “normale” non ne vale la pena.

SAGGEZZA SPICCIOLA Per far durare a lungo le batterie si può tenere un comportamento saggio. Ad esempio, non lasciare accesi gli accessori che consumano più corrente quando si è fermi con il motore al minimo: a quel regime l’alternatore non riesce a reintegrare la corrente consumata. E poi, spengere tutti gli accessori prima di spengere il motore e, viceversa, accendere prima il motore e poi gli accessori; non far scaricare la batteria, non lasciarla mai scarica, e nemmeno sovraccaricare la batteria usando dispositivi di ricarica manuali senza saper come usarli.

LA SOLUZIONE PIU’ ECONOMICA Soldi ben spesi sono quelli per i mantenitori, dispositivi che mantengono la batteria carica senza far “bollire” l’elettrolita. Meglio se a controllo elettronico: costano qualche euro di più ma evitano danni alla batteria. Il massimo è disporre di un caricabatterie elettronico, uno di quelli che ha al suo interno un microprocessore. Quest’ultimo aggiunge, oltre alla ricarica, altre utili funzioni, quali: riconoscimento dell’inversione di polarità, diagnosi dello stato dell’accumulatore con indicazione dell’eventuale necessità di sostituzione, carica controllata elettronicamente con fase finale a impulsi e mantenimento a fine processo, rigenerazione. L’operazione di rigenerazione è gestita dal processore per ridurre o eliminare blandi stati di solfatazione (i miracoli non sono possibili, la solfatazione deve essere poca e di data recente, durante questa operazione è meglio scollegare la batteria dall’impianto elettrico del veicolo).

Destroyer

Pompe freno, differenze sostanziali

Diamo una spiegata sommaria alle differenze tra una pompa assiale ed una radiale.

La assiali come dice il nome hanno il fulcro in asse con la leva, ovvero tirando la leva il pistoncino è messo appunto in asse con la leva del freno.

Pompa assiale
assiali

 

 

Pompa radiale
radiale-giusta

come si evince dai disegni si capisce che la differenza è il punto di fulcro leva/pistoncino, sulle assiali il pistoncino è montato perpendicolare alla leva, le sue caratteristiche sono: grande modulabilità, efficienza di funzionamento.
per contro ha una rotazione sull’asse del pistoncino nel punto di contatto con la leva.

Le radiali invece hanno appunto il pistoncino montato “radialmente” rispetto alla leva, le caratteristiche sono più o meno le stesse di una assiale, ma a parità di sforzo sulla leva una radiale frenerà molto di più di una assiale, il motivo è presto spiegato, innanzitutto non c’è rotazione sull’asse del pistoncino, poi il rapporto “leva/fulcro” è a favore di questo tipo di pompa freno.
rispetto ad una assiale risulta essere meno modulabile, decisamente più aggressiva nell’attacco e molto più potente nell’esercizio del suo lavoro, la colonna di olio viene premuta direttamente dalla vostra mano senza nessun cinematismo (effetto rotatorio del pistoncino) che smorza l’effetto e fa perdere sensibilità.

per approfondire il discorso “leva/fulcro/momento meccanico”  leggete QUI

Numeri sul corpo pompa

Le pompe radiali si identificano con due numeri (per esempio 16×18, 16×20 etc), il primo numero è il diametro del pompante, esattamente come per le assiali, il secondo numero è la distanza tra il perno della leva e l’asse del pompante. (fulcro)

Quindi una 16×20 avrà una corsa della leva inferiore e sarà più dura di una 16X18.
Sulle moto modisco tipo i motard si usano le 16X18, sulle moto bidisco come la DD generalmente si sceglie una 19X20 che è sempre molto potente ma non risulta aggressiva come una 16X18.
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La catena di trasmissione

LA CATENA DI TRASMISSIONE

In campo motociclistico la trasmissione a catena è un sistema che offre una elevata sicurezza e un eccellente rendimento, vicino al 97%.
E’ però necessario che vengano rispettate precise regole di scelta, montaggio e manutenzione.
Pochi e semplici accorgimenti consentono di sfruttarne al massimo le potenzialità, riducendo contemporaneamente i tempi d’intervento e garantendo sicurezza, funzionalità e lunga durata.

Al contrario, una non appropriata scelta dei componenti, un montaggio non corretto e una manutenzione non adeguata potrebbero compromettere non solo il comfort di marcia, ma anche la stessa sicurezza del veicolo e del conducente.
In queste pagine, intendo fornire all’utilizzatore alcuni consigli pratici per la scelta, l’installazione, il controllo della trasmissione e la manutenzione di tutti i suoi componenti.

COS’E’ UNA CATENA
Una catena di trasmissione (catena Galle) è composta da una successione di maglie interne e di maglie esterne collegate fra di loro in modo da poter articolare liberamente:
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Una catena viene normalmente impiegata chiusa ad anello.

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Per collegare fra loro i due capi della catena per formare l’anello chiuso, è necessario impiegare una delle due seguenti maglie di chiusura:

maglia ribadita
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Falsa maglia o maglia a giunto
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il primo tipo (maglia a ribadire) è la maglia che si usa per chiudere una catena ad X-Ring, perchè essendo una catena pre-lubrificata non c’è bisogno di smontarla per pulirla e/o lubrificarla.
la seconda (falsa maglia o maglia a giunto) si usa sopratutto sulle catene senza O-ring, di solito montata sulle moto da off road, in quanto visto l’uso gravoso e il contatto con terra, fango e polvere, questa catena deve essere smontata, pulita e lubrificata a mezzo immersione nel grasso fuso, quindi è necessario smontarla spesso dalla moto, e quel tipo di chiusura (falsa maglia) rende assai semplice la cosa.
La maglia giunto, anche se è di più facile utilizzo, non può fornire la stessa sicurezza e durata di una maglia a ribadire, per questa ragione si raccomanda di fare il possibile per utilizzare sempre una maglia a ribadire, evitando in ogni caso di utilizzare una maglia giunto per moto di cilindrata superiore a 250 cc.

SCELTA DELLA CATENA
Scegliere la catena più appropriata consultando le info fornite dal produttore della moto, per una corretta selezione in base al tipo, alla cilindrata e all’impiego della moto.
Non modificare il sistema di trasmissione originale, sia nella sua dimensione che nelle sue caratteristiche fondamentali.

CONTROLLO DELLA CATENA
Ispezionare frequentemente la catena, verificando che non presenti articolazioni indurite, o-ring mancanti o danneggiati, altri componenti usurati (con particolare riferimento alla maglia di chiusura).
L’usura della catena può essere facilmente verificata misurando di quanto si è allungata con l’uso.
Si raccomanda di seguire il metodo di verifica seguente che è il più sicuro ed efficiente.

Anzitutto la catena va pulita e rilubrificata, dopo di che si può procedere alla misurazione come segue:
a) porre la catena in tensione se la catena è montata sulla moto, tensionare il ramo superiore inserendo una marcia bassa e ruotando opportunamente la ruota posteriore.
Se la catena è smontata dalla moto, va appoggiata su un piano orizzontale, fissandola ad una estremità e mettendola in tensione tramite un peso di circa 20 Kg applicato all’estremità opposta:
b) con un calibro o con una riga millimetrata di precisione misurare la distanza fra i centri di due perni distanti fra loro di un numero N di maglie (vedere tabella seguente):
PASSO DELLA CATENA
520- 525 – 530 – 532 allungamento massimo ammesso 256,5 mm per tutte le misure elencate in precedenza.
SCELTA, MONTAGGIO E ALLINEAMENTO DELLE RUOTE DENTATE

Verificare frequentemente l’usura dei denti del pignone e della corona, nel profilo e nello spessore: ogni anomalia deve essere rimossa provvedendo alla sostituzione del componente.

ATTENZIONE ! Una catena nuova, se montata su pignoni usurati o danneggiati, si usurerà rapidamente.
Per ottenere le migliori prestazioni, montando una nuova catena occorre montare un nuovo pignone ed una nuova corona, ottenendo così una omogeneità tra tutti gli organi del sistema di trasmissione.
Il pignone e la corona devono essere scelti rispettando le dimensioni di progetto originali.
Per moto stradali di grossa cilindrata sono consigliate corone con denti temprati ad induzione, con ottime caratteristiche di resistenza all’usura.
In fase di montaggio sostituire gli elementi di fissaggio usurati o danneggiati ( viti, rondelle, dadi).
Assicurarsi che pignone e corona, una volta installati, non abbiano sbandieramenti laterali o eccentricità in rotazione.
Controllare l’allineamento tra pignone e corona (che non sempre corrisponde a quello tra la ruota posteriore e quella anteriore)
utilizzando una riga rettificata di lunghezza adeguata o dell’apposito attrezzino facilmente costruibile in garage.

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andrà bene anche una corda legata e tenuta a misura per mezzo di un metro.

a) Posizionarla sul fianco esterno della corona, il più possibile vicino al centro di rotazione per garantirsi la più ampia superficie d’appoggio.

b) Verificare che non si evidenzino scostamenti rispetto al fianco
esterno del pignone.

c) Correggere eventuali anomalie intervenendo sui registri di tensionamento della catena o utilizzando degli spessori, senza compromettere il corretto allineamento tra le ruote della moto.

SOSTITUZIONE DI UNA CATENA CHIUSA CON MAGLIA GIUNTO.
Indossare sempre guanti e occhiali protettivi, prestare particolare attenzione alle dita in ogni fase di manipolazione della catena sulla moto.
Sistemare la moto con la ruota posteriore sollevata da terra e quindi libera di girare.

SMONTAGGIO
Fare ruotare la catena fino a che la maglia giunto si venga a trovare sulla corona.
Con l’ausilio della pinza a becchi sagomati sfilare la molletta dai canalini dei perni, la piastra mobile e la forchetta giunto.
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A questo punto la catena risulterà aperta, cioè non più chiusa ad anello.

INSTALLAZIONE
Utilizzando la vecchia forchetta giunto collegare temporaneamente un capo della catena da sostituire con la catena nuova; dopo di che, tirare lentamente l’altro capo della catena vecchia fino a far avvolgere la catena nuova attorno al pignone; proseguire fino a che l’estremità della catena nuova si trovi sulla corona.
Smontare poi la vecchia maglia giunto ed eliminarla unitamente alla catena vecchia.
Avvolgere attorno alla corona anche l’altro capo della nuova catena, in modo che i due capi siano posizionati
l’uno di seguito all’altro su due denti consecutivi.
possiamo ora montarela nuova maglia giunto.

ATTENZIONE !! La maglia giunto è fornita già lubrificata con un prodotto speciale che garantisce una lunga durata: occorre EVITARE ASSOLUTAMENTE di togliere il lubrificante dalla superficie dei perni, perché ciò potrebbe compromettere seriamente la durata della maglia giunto.
In particolare per catene con o-ring, non essendo più possibile una successiva rilubrificazione, questa
cautela è molto importante.

ATTENZIONE !  Le punte della molletta devono essere orientate in senso opposto a quello di rotazione della catena.
ATTENZIONE ! Fare attenzione a non piegare o danneggiare la molletta durante il montaggio.
Verificare che sia perfettamente alloggiata nei canalini dei perni.
Le mollette non dovrebbero essere smontate e montate più di una volta.
ATTENZIONE! Come tutte le parti mobili, la molletta della maglia giunto è sottoposta a continue vibrazioni: controllarne frequentemente lo stato di usura.
ATTENZIONE!  Verificare che la catena in esercizio non urti parti metalliche del veicolo, quali carter motore, forcellone, guidacatena o tenditori.
SOSTITUZIONE DI UNA CATENA RIBADITA
Indossa sempre guanti e occhiali protettivi.
prestare particolare attenzione alle dita in ogni fase di manipolazione della catena sulla moto.
Sistemare la moto con la ruota posteriore sollevata da terra e quindi libera di girare.

SMONTAGGIO
Smontare la catena in un punto qualsiasi del suo ramo inferiore, utilizzando lo smontacatene e procedendo
come segue:

a) svitare lo spintore in modo che la punta dello stesso non sia più visibile.
b) svitare la vite di appoggio ed inserire lo smontacatene con lo spintore e la vite di appoggio allineati in corrispondenza del primo perno della maglia esterna da smontare.
c) avvitare lentamente la vite di appoggio 2 sino a che la catena sia bloccata e pronta per l’estrazione del primo dei due perni.
d) avvitare lentamente lo spintore fino a che il primo pernofuoriesca dalla catena per circa metà della sua lunghezza.
e) ripetere le operazioni sul secondo perno e sfilare la forchetta, aprendo così la catena.

oppure usate un frullino e asportate le teste ribattute dei perni.

ATTENZIONE!  Quando lo smontacatene universale viene utilizzato per smontare catene con o-ring, è necessario
impiegare l’apposito spessore sagomato (in dotazione) che deve essere inserito sotto la piastra esterna da smontare, a protezione degli o-ring i quali verrebbero altrimenti schiacciati dall’azione dello smontacatene; il mancato inserimento dello spessore causerebbe inoltre il parziale smontaggio delle bussole della catena, danneggiandone la funzionalità e la durata.
MONTAGGIO E CHIUSURA DELLA MAGLIA A RIBADIRE

Utilizzando la forchetta di una vecchia maglia esterna o maglia giunto, collegare temporaneamente un capo della catena da sostituire con la catena nuova; dopo di che, tirare lentamente l’altro capo della catena vecchia fino a far avvolgere la catena nuova attorno al pignone; proseguire fino a che l’estremità della catena nuova si trovi sulla corona.
Smontare poi la vecchia forchetta ed eliminarla unitamente alla catena vecchia.
Avvolgere attorno alla corona anche l’altro capo della nuova catena, in modo che i due capi siano posizionati l’uno di seguito all’altro su due denti consecutivi.
Togliere ora dalla confezione la nuova maglia a ribadire.

a) assicurarsi che sulla forchetta della nuova maglia a ribadire siano montati i due o-ring (uno su ogni perno) appoggiati sulla piastra.
b) inserire la forchetta della nuova maglia a ribadire dalla parte posteriore della catena, evitando ogni contatto con i perni per non asportare il lubrificante.
c) posizionare gli altri due o-ring, uno su ogni bussola.
Girare poi la ruota posteriore in modo che la maglia da ribadire si porti nel ramo inferiore della catena, in una posizione che permetta di operare agevolmente con gli attrezzi.

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a) collocare la piastra esterna tra le lamelle di tenuta del portapiastra mobile verificandone il corretto alloggiamento.
b) applicare l’attrezzo di assemblaggio sulla catena, inserendo il pernetto di centraggio fra i rulli della catena in corrispondenza con la maglia da ribadire.
c) avvitare con le dita il porta-piastra mobile 1 sino ad imboccare la piastra esterna sui perni della forchetta della maglia a ribadire.
d) con una chiave a cricchetto o con il perno in dotazione avvitate a fondo, ma senza forzare, il porta-piastra mobile inserendo così completamente la piastra della maglia a ribadire sui perni della forchetta.
e) svitare lentamente il porta-piastra mobile liberando la catena.

controllare che i perni precedentemente ribaditi che siano ben chiusi prima di provare la moto.

TENSIONAMENTO DELLA CATENA

Il corretto tensionamento della catena è di estrema importanza per la durata e l’efficienza del sistema di trasmissione posteriore: un eccessivo tensionamento della catena provoca inutilmente dei pericolosi carichi aggiuntivi, che aumentano il carico di lavoro dell’articolazione fra perni e bussole, surriscaldando la catena, consumano precocemente il lubrificante e portano quindi ad una rapida usura della catena; inoltre, se la moto è soggetta a sobbalzi, il movimento alternato a leva del forcellone oscillante può causare alla catena dei contraccolpi violentissimi, che possono portare rapidamente al danneggiamento o alla rottura della catena stessa o degli altri organi ad essa collegati (corona, mozzo posteriore, cuscinetto dell’albero di uscita della trasmissione secondaria ecc.)

Una catena eccessivamente allentata è soggetta a violenti colpi di frusta in accelerazione che moltiplicano il carico applicato alla catena e che possono causare lo scavalcamento delle ruote dentate con seri danni al veicolo e al conducente.

Il controllo e il ripristino della tensione della catena deve essere eseguito con la seguente frequenza:per uso su strada: dopo i primi 100 Km, e, in seguito ogni 400 Km
per uso fuoristrada: dopo ogni utilizzo

PROCEDURA DI TENSIONAMENTO
a) Anzitutto, la catena deve essere posta nella sua condizione di massima tensione .
Questa si ha quando il pignone e la corona sono alla massima distanza.
Per ottenere ciò, occorre caricare la ruota posteriore (fate sedere un amico sulla moto) fino a che i centri del pignone, del perno del forcellone e della corona siano allineati sulla stessa retta .
Il forcellone sarà parallelo al terreno.
b) Agendo sul sistema di tensionamento(registri di regolazione o camme) tendere la catena in modo che il ramo inferiore, preso fra due dita nel suo punto mediano, possa oscillare liberamente dal basso verso l’alto di 10-15 mm (mentre il ramo superiore è teso).
c) Procedere poi al serraggio della ruota posteriore con la catena sotto carico.
Questa condizione si ottiene, dopo aver inserito una marcia bassa a motore spento, semplicemente interponendo un
cacciavite tra catena e corona e girando di pochi gradi la ruota in senso opposto a quello di marcia.
La catena sotto carico consente il corretto posizionamento del perno della ruota, impedendo allo stesso di spostarsi durante il serraggio falsando l’allineamento tra le ruote dentate.
LAVAGGIO
Normalmente l’operazione di lubrificazione della catena è sufficiente per garantire contemporaneamente il lavaggio.
In caso però di eccessivo accumulo di sporco (sabbia, terra, particelle di asfalto e altri residui) intervenire petrolio bianco o lamapante
e procedere immediatamente all’asciugatura della catena con uno straccio pulito

Dopo l’uso fuoristrada asportare fango, terra o sabbia con un getto d’acqua e procedere immediatamente all’asciugatura della catena mediante uno straccio pulito.

ATTENZIONE! Evitare l’uso di vapore o solventi.
Nel caso di pulizia di catene con o-rings, evitare l’uso di spazzole dure o di altri metodi che possano danneggiare gli o-rings.
ATTENZIONE! Subito dopo il lavaggio, la catena va
rilubrificata come descritto più avanti.

LUBRIFICAZIONE

Il ripristino della lubrificazione per catene senza o-ring e la lubrificazione a scopo protettivo per catene con o-ring sono operazioni di grande importanza per la lunga durata e per le migliori prestazioni della catena.
Poichè la funzione del lubrificante è quella di ridurre gli attriti, ne consegue che una carenza di lubrificante ovvero l’impiego di un prodotto non adatto causano un aumento degli attriti specialmente nell’area di lavoro tra perno e bussola delle articolazioni.. Ciò assorbe energia, che si trasforma in calore (con conseguente calo del rendimento della trasmissione) e conduce ad una rapida usura dei componenti metallici.
Inoltre l’aumento di temperatura rende più fluido il lubrificante, che tenderà così a fuoriuscire ancor più
dalla catena, causando un ulteriore aumento degli attriti, e così via.
Di conseguenza, quando si nota che la temperatura della catena in esercizio tende ad essere un po’ elevata, questo è un sintomo di cattiva lubrificazione, per cui occorre procedere al più presto a ripristinare le giuste condizioni di lavoro.
Altri segnali evidenti di cattiva lubrificazione sono un rapido allungamento della catena, la comparsa di zone rossicce (indice di ruggine), la presenza di cigolii e rumorosità della trasmissione.
Per una corretta rilubrificazione della catena procedere secondo le seguenti istruzioni.
LUBRIFICAZIONE DI CATENE CON O-RING
Nelle catene con o-ring la lubrificazione delle articolazioni è assicurata dal lubrificante sigillato dagli o-ring nell’area di lavoro.
Occorre tuttavia provvedere ad una lubrificazione periodica della catena per mantenere morbidi gli o-ring evitando screpolature e conseguenti rotture, e per proteggere dall’ossidazione i componenti metallici della trasmissione.
Utilizzare olio minerale SAE 80-90, o grasso ai saponi di Litio evitando assolutamente l’uso di lubrificanti spray non specifici, che potrebbero. dato il loro contenuto di solventi, danneggiare gli o-ring.
a) stendere su tutta la lunghezza della catena, sia all’interno che all’esterno, un velo di olio con l’ausilio di un pennello pulito.
b) dopo qualche ora eliminare il lubrificante in eccesso utilizzando uno straccio pulito.
ATTENZIONE! Lubrificare la catena ogni 400 Km o più frequentemente se necessario.

ATTENZIONE!  Quando possibile lubrificare la catena senza attendere che sia raffreddata dopo l’utilizzo, in modo che il nuovo lubrificante possa divenire più fluido e penetrare meglio nelle articolazioni della catena (nel caso di catene senza o-ring) o essere più efficace nella sua azione protettiva (nel caso di catene con oring)
ATTENZIONE!  Non utilizzare la moto immediatamente dopo aver lubrificato la catena, in quanto il lubrificante sarebbe ancora fluido (perché caldo o perché il solvente non è ancora evaporato) e verrebbe quindi subito centrifugato verso l’esterno imbrattando la gomma posteriore e la pedana d’appoggio del conducente.

POTENZIALI PROBLEMI DELLE CATENE DI TRASMISSIONE PER MOTO E LORO CAUSE

ECCESSIVO RUMORE DELLA TRASMISSIONE
errato tensionamento( troppo tesa o troppo lenta)
insufficiente lubrificazione
non corretto allineamento tra pignone e corona
non corretta corrispondenza dimensionale tra la catena e il pignone e la corona
urti o strisciamenti della catena su parti del veicolo in esercizio
usura del pignone o della corona
usura della catena
usura, rottura o disallineamento !di altri componenti della
trasmissione (pattini, guidacatena, tenditori)

VIBRAZIONE DELLA TRASMISSIONE
errato tensionamento della catena (troppo tesa o troppo lenta)
non corretto allineamento tra pignone e corona
presenza di articolazioni indurite
usura non uniforme della catena o del pignone o della corona

LA CATENA SCAVALCA LE RUOTE DENTATE
eccessiva usura del pignone o della corona
eccessivo allungamento della catena causa usura
insufficiente tensionamento della catena
non corretto allineamento tra pignone e corona
non corretto posizionamento di pattini, guidacatena o tenditori
ruote dentate piegate, ondulate, danneggiate o con dimensioni
errate
presenza di corpi estranei tra la catena e le ruote dentate
USURA ALL’INTERNO DELLE PIASTRE DELLA CATENA, PIGNONE USURATO SU UN LATO E CORONA USURATA SUL LATO OPPOSTO
non corretto allineamento tra pignone e corona
INDURIMENTO DELLE ARTICOLAZIONI DELLA CATENA
eccessivo tensionamento della catena
insufficiente lubrificazione
non corretto allineamento tra pignone e corona
ossidazione delle articolazioni della catena
sottodimensionamento della catena rispetto ai carichi cui è sottoposta
rottura o perdita di o-ring
non corretto montaggio ( vale solo per la maglia a ribadire e la maglia giunto)
materiale estraneo (sabbia, fango) nelle articolazioni della catena.

ROTTURA DEI PERNI O DEI RULLI O DELLE BUSSOLE DELLA CATENA
carichi eccessivi o carichi applicati troppo violentemente (caso tipico delle moto prive di parastrappi)
eccessiva usura del pignone o della corona
eccessivo allungamento della catena causa usura
insufficiente lubrificazione
insufficiente tensionamento della catena
non corretto allineamento tra pignone e corona
non corretto posizionamento di pattini, guidacatena o tenditori
non corretto rapporto dimensionale tra la catena, il pignone e la corona
numero di denti del pignone inferiore a quello minimo consigliato (15 denti)
presenza di corpi estranei tra la catena e le ruote dentate
ROTTURA DELLE PIASTRE DELLA CATENA
urti o strisciamenti della catena su parti del veicolo in esercizio
eccessivo tensionamento della catena
presenza di corpi estranei tra la catena e le ruote dentate
forte disallineamento tra pignone e corona
sottodimensionamento della catena rispetto ai carichi cui è
sottoposta
corrosione causata da agenti esterni ( acido batteria, carburante o altri fluidi)

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Leggere i codici sulle candele

Questo articolo serve per capire un volta per tutte cosa significano i codici scritti sulle candele di moto ed auto.
candela-sezionata-resistore

Tabella esplicativa NGK

La prima lettera indica il diametro della filettatura ed il tipo di esagono:

B 14mm con esagono da 20.8
C 10mm con esagono da 16
12mm con esagono da 18
E 8mm con esagono da 13

AB 8mm con esagono da 20.8
BC 14mm con esagono da 16
BK 14mm con esagono da 16
DC 12mm con esagono da 16

La seconda lettera indica la struttura della candela:

M candela compatta tipo Bantam
P con punta isolatore prominente
U a scarica superficiale o semisuperficiale

la Terza cifra indica il resistore della candela

R candela resistiva
Z candela induttiva

La cifra seguente indica la gradazione termica della candela che:
parte da 2 candela calda
e arriva a 10 candela fredda per candele ordinarie
per le candele racing parte da 8 candela calda ed arriva a 14 candela fredda

La lettera dopo la cifra indica la lunghezza della filettatura:
E 19mm(18mm nelle candele racing)
EH 19 mm (parzialmente filettata)
H 12.7mm(12.5mm nelle candele racing)
F modello senza la rondella e con la sede conica
L 11,2 mm
La seconda lettera dopo il numero indica le particolarità costruttive della candela:
B terminale SAE fisso (CR8EB)
CM candela compatta
CS con elettrodo di massa ad esecuzione obliqua
G-GV candela racing
I elettrodo all’Iridio
IX candela iridium X
due elettrodi di massa estesi
K due elettrodi di massa
-L mezzo grado termico
LM tipo compatto (lunghezza isolatore 14,5 mm)
N elettrodo di massa irrobustito
P  elettrodi al platino
Q con 4 elettrodi di massa
S tipo standard
con 3 elettrodi di massa
U a scarica semi-superficiale
VX candela al platino
Y con elettrodo di massa scanalato a V (grooved)
Z struttura speciale
Un numero finale da 7 a 15 indica la distanza degli elettrodi consigliata dal fabbricante in decimi di mm

Es. CR7EXI = diametro filettatura da 10 mm con esagono da 16 mm, grado termico 7, lunghezza filettatura 19mm, IridiumX

candele originali CR7EKB = diametro filettatura da 10 mm, con esagono da 16 mm, grado termico 7, lunghezza filettatura 19mm e due elettrodi di massa.

 

 

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Come funziona una frizione antisaltellamento

In questo articolo parlerò della frizione ed in particolar modo della frizione “Antisaltellamento”.

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Che cosa è una frizione e che lavoro svolge?

La frizione è un organo meccanico che ha la funzione di connettere a comando due alberi per permette o meno ed eventualmente modulare la trasmissione del moto rotatorio.
In parole povere, consente di unire gradualmente il moto di due alberi che ruotano a velocità diversa, per esempio per far partire gradualmente da fermo un mezzo a motore, senza spegnere il motore, applicando la trazione non istantaneamente come ad esempio attraverso un ingranaggio, ma progressivamente.

Il funzionamento è simile a quello dei freni, ma inverso: i freni sono fermi, e la ruota non viene bloccata istantaneamente, ma gradualmente grazie all’attrito; allo stesso modo la frizione muove gradualmente un albero fermo o in rotazione a velocità diversa.
L’apertura o chiusura della frizione può essere effettuata per via meccanica, tramite leve e cavi tiranti, per via idraulica, pneumatica o elettrica.
Esistono poi frizioni che per costruzione posseggono caratteristiche differenti, in grado di aprirsi se il momento torcente supera un valore limite (antisaltellamento) o chiudersi al superamento di una certa velocità angolare (automatica).

Quali sono i vantaggi di una frizione antisaltellamento?
La funzione principale della frizione antisaltellamento è quella di evitare il bloccaggio della ruota posteriore in fase di staccata. Questa caratteristica viene esaltata nelle specialità su pista, ma ha anche i suoi vantaggi nell’enduro e nel motocross.
Durante la marcia è il motore che fornisce una certa coppia alla ruota posteriore, viceversa in fase di staccata, sarà la ruota posteriore a fornire un coppia (definita in questo caso, retro coppia) al motore. Quando il valore della retro coppia supera la resistenza della molla che gestisce l’antisaltellamento (intercambiabile)il tamburo si solleva dal mozzo alzando a sua volta lo spingi disco e liberando quindi il pacco dischi.

Questo meccanismo fa si che la ruota posteriore non si blocchi più.

I vantaggi derivanti dalla riduzione del freno motore nei propulsori a quattro tempi sono vari, si evitano gli sbandamenti incontrollati e i saltellamenti durante l’inserimento in curva, questo facilita la guida, poiché ci si può dedicare esclusivamente all’impostazione della traiettoria, gli organi di trasmissione subiscono uno stress decisamente minore

Diversi sono anche i vantaggi puramente tecnici: la molla primaria a diaframma utilizzata dalla A.S., esercita una pressione maggiore sul pacco dischi ma senza aumentare la resistenza del comando frizione.

Caratteristica di questo tipo di molla è proprio quello di lavorare in un punto abbastanza piano della curva di lavoro (vedi grafico), al contrario delle molle elicoidali, che lavorano in una zona più ripida.

molla diaframma

Quando entra in funzione l’antisaltellamento?
La frizione antisaltellamento non porta automaticamente ad effettuare scalate senza agire sul comando leva.

Sappiamo che l’innesto della marce in scalata è possibile quando il pacco dischi non è tenuto a pacchetto. La frizione antisaltellamento, come detto, libera i dischi nel momento in cui la retro coppia supera la resistenza della molla.

Questo vuol dire, che tutte le volte che tale retro coppia è sufficiente ad alleggerire la pressione sul gruppo dischi, sarà possibile dimenticarsi della leva frizione.
Effetto ottenibile anche solo chiudendo il gas (ovviamente non a 30 km/h in 6ˆ marcia!) cosi da “buttare giù” le marce richieste.

L’antisaltellamento entra dunque in funzione solo quando la retro coppia è superiore alla forza generata dalla molla, sebbene già chiudendo il gas, inizi la prima parte della fase di rilascio.
Ciò che il pilota percepirà sarà una immediata riduzione del freno a motore (non il totale annullamento) ed una moto più stabile e scorrevole. Uno dei vantaggi di chi sceglie la A.S. sta nel poter variare il freno motore percepito semplicemente sostituendo la molla con una di diversa taratura.

Come funzionano le molle a diaframma delle frizioni antisaltellamento?

Quasi tutte le frizioni A.S. lavorano con due molle a diaframma, una più grande, definita primaria, l’altra più piccola ed interna, chiamata secondaria.
La molla primaria esercita una spinta sul pacco dischi evitando che li stessi slittino durante i momenti di accelerazione.

Questa molla, sostituisce in pratica, le molle elicoidali presenti sulle frizioni standard, con però una serie di vantaggi: a parità di forza applicata alla leva, la spinta sul pacco dischi risulterà maggiore con inoltre un rendimento costante nonostante l’usura del pacco dischi, la leva necessiterà di uno sforzo costante, dall’inizio alla fine del suo azionamento.

Anche la molla primaria influenza il meccanismo antisaltellamento, riducendo il carico della molla si aprirà più rapidamente la frizione, mentre aumentandolo si tarderà questo movimento, solitamente si cerca però di agire sul freno motore sostituendo la secondaria.

La molla secondaria invece, più piccola ed interna alla frizione, spinge direttamente sul tamburo, e pertanto entra in funzione solo quanto si attiva il meccanismo dell’antisaltellamento.

Data la sua posizione e la sua funzione e quella che permette al tamburo di chiudersi ed aprirsi più o meno velocemente (come detto in minima parte anche la primaria).
Questa molla è quella che maggiormente influenza il sistema, quindi se si vorrà un maggior freno a motore, si utilizzerà una molla con un carico maggiore, allo stesso modo se sarà da ridurre verrà utilizzata una molla secondaria più scarica.

Ecco una animazione di come apre e chiude il tamburo durante una scalata.

Ecco un esempio di molla primaria

secondaria

Questo è l’esploso della frizione della STM
esploso
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Olio freni

Olio freni

Cosa è e sopratutto quando sostituire il liquido dell’ impianto frenante?

La sostituzione dell’olio freni è una operazione spesso tralasciata o trascurata , ma che nella manutenzione di una motocicletta è di notevole importanza, infatti garantisce il perfetto funzionamento dell’impianto frenante.

In primis diamo qualche delucidazione su cos’è l’olio da freni, quali sono le sue proprietà e quali sono le differenze delle sigle che lo contraddistinguono.

L’olio da freni è un liquido che in teoria come tutti i liquidi ha una scarsa comprimibilità, infatti esso
all’interno dell’impianto frenante ha il compito di trasmettere, tramite il tiraggio della leva freno o per compressione del pedale, pressioni di varie decine di bar alle pinze dei freni.

La particolarità di questo tipo di olio è che non subisce grosse variazioni di volume nonostante il
variare delle temperature di esercizio, che possono variare da – 40° per arrivare a temperature superiori a 200°.

Questo liquido ha due principali caratteristiche che possiamo definire indesiderate, e sono:

la prima
è un corrosivo, infatti se per un motivo qualsiasi si dovesse sporcare una qualsiasi superficie è consigliabile pulirla immediatamente, riesce a intaccare senza difficoltà anche la vernice della carrozzeria ed i metalli.

la seconda
è di essere igroscopico, termine che indica la tendenza ad assorbire umidità, quest’ultima viene assorbita attraverso microporosità presenti su tubazioni, o attraverso le guarnizioni di tenuta.

Infatti è proprio l’umidità che va a compromettere l’efficienza del liquido freni, modificandone le sue caratteristiche tecniche.

Basti pensare che già dopo un anno viene calcolato che per effetto dell’assorbimento di umidità è possibile che la temperatura di ebollizione del fluido si abbassi anche di 80°, ad esempio se il nostro fluido inizialmente andasse
in ebollizione a 240°C, scenderebbe a 160°C, inoltre frenando e innalzando la temperatura le particelle di acqua si trasformano in vapore, che è comprimibile dando luogo a una la frenata spugnosa e inefficace. (il tanto odiato “fading”)

Allora, quando cambiare il liquido dei freni?
Partiamo dal presupposto che più elevato è il punto di ebollizione di un liquido freni tanto maggiore sarà la sua proprietà igroscopica.
Per essere chiari più il DOT è alto maggiore sarà la temperatura di ebollizione, e maggiore sarà la sua proprietà igroscopica, spesso ci lasciamo abbagliare dal mondo delle competizioni sperando in prestazioni che hanno del
miracoloso,ma dobbiamo poi fare come il mondo delle corse ?

Le diciture DOT servono a identificare e a garantire i requisiti minimi dei diversi liquidi freno, classificandoli come la scala Api per gli olii motore.
Le specifiche DOT si riassumono con questi valori:

dbp (dry boiling point)
Punto di ebollizione minimo
DOT 3 : 205°C
DOT 4 : 230°C
DOT 5 : 250°C
DOT5.1: 260°C
DOT6.1: 315°C

wbp (wet boiling point)
Punto di ebollizione minimo in umido
DOT 3 : 140°C
DOT 4 : 155°C
DOT5.1: 175°C

Forse a una persona non esperta questi dati non daranno molto all’occhio, ma se andiamo a notare, vedremo come un DOT 5.1 inquinato da umidità, abbassi il suo punto di ebollizione, diventando inferiore a un DOT 3, infatti, come avevo riportato sopra, maggiore è il DOT maggiore è la capacità igroscopica.
Perciò è inutile e controproducente usare un liquido DOT 5.1 se non lo cambiamo almeno ogni 6 mesi, tanto vale usare un DOT 4 che avrebbe una maggior efficienza. Per non parlare di un liquido DOT 6.1 racing
che nel mondo delle corse deve essere cambiato ogni gara.

Questi sono gli intervallo di cambio liquido consigliati:
DOT 3 : cambio ogni 24 mesi
DOT 4 : cambio ogni 12 mesi
DOT5.1: cambio ogni 6 mesi
DOT6.1: ogni gara o 500Km.
Altra cosa da tener presente è che se rabocchiamo un serbatoio che contiene del liquido DOT 4 con del DOT 3 andremo ad abbassarne le proprietà generando un DOT 3, fanno fede le caratteristiche più basse in caso di miscelazione.

Inoltre faccio presente che la scala corretta è : DOT 3–> DOT 4–>DOT 5.1–>DOT 6.1

Il liquido DOT 5 fa categoria a se, la sua formulazione è completamente differente, esso non è a base glicolica ma siliconica, questo creà una incompatibilità con la maggioranza degli impianti frenanti.

Se vogliamo usare un DOT5 dobbiamo avere l’impianto frenante compatibile e in ogni caso non deve esserci traccia di altro liquido, tipo DOT3 /DOT4/DOT5.1/DOT6.1, pena seri danneggiamenti delle guarnizioni di tenuta della pompa e della pinza freno.

Chi per caso usasse dell’olio DOT5 al posto del DOT4 deve sapere che avrà l’impianto contaminato, e si consiglia di svuotare l’impianto e di pulirlo e per non causare danni alle guarnizioni si raccomanda di lavare i componenti pompa, pinza e disco, solo con alcool o acqua.

ATTENZIONE : è fondamentale che le parti in gomma non vengano mai messe a contatto con prodotti derivati dal petrolio (benzina, nafta, ecc.) in quanto ciò causerebbe un pericoloso deterioramento di esse.

ATTENZIONE : dopo aver lavato con acqua e detergente l’impianto dovremo prenderci cura che nessuna goccia d’acqua rimanga all’interno dello stesso, magari aiutandoci con un getto di aria compressa soffiamo il tutto accuratamente.

ATTENZIONE : il liquido dell’impianto frenante, oltre a danneggiare le parti verniciate, è dannosissimo se portato a contatto degli occhi o della pelle.
Lavare abbondantemente con acqua corrente la parte interessata in caso di accidentale contatto e consultare immediatamente un medico.
Comunque operare sempre in sicurezza con le mani protette da guanti.
Non ingerire e tenere lontano dalla portata dei bambini.

seguirà guida integrata su come sostituire l’olio freni in totale sicurezza.

Destroyer

Le pasticche freno cosa sono e come sono fatte??

Le pasticche freno cosa sono e come sono fatte??
Nessuno si chiede a chi affidiamo nelle frenate la nostra vita centinaia di volte al giorno??

Cercheremo di capire in questa sede cosa sono come sono fatte e sopratutto le differenze che ci sono tra i diversi tipi di pasticche freno.

Le pasticche hanno il compito di dissipare l’energia del veicolo legata alla sua velocità (energia cinetica) producendo una forza contraria all’avanzamento .
Allo scopo viene generata sulle ruote una coppia di senso opposto alla coppia motrice, a generare questa coppia è deputato l’attrito meccanico, che trasforma l’energia cinetica in calore, smaltito essenzialmente per metodo aerodinamico.

Ma quale è la dinamica di funzionamento della pasticca??

Lo scambio di energia può avvenire con due modi di attrito.
In un classico impianto con dischi metallici, durante la frenata le pasticche ed il disco generano forza frenante con la combinazione dell’attrito che si genera tra la pasticca e la pista frenante del disco e dell’attrito che è generato dall’asportazione di materiale tanto dalla pasticca quanto dal disco.

Tutti questi fenomeni generano calore, la maggior parte si sviluppa sulla superficie di contatto disco pasticca o nelle sue immediate vicinanze e si accumula nel disco che deve smaltirlo.

Quanto più metallo c’è nel disco tanto più calore (quindi energia frenante) sarà in grado di accumulare a pari temperatura.
Peccato che i dischi con molto metallo nella pista frenante aumentino l’inerzia della ruota e di conseguenza la maneggevolezza della moto.

Quindi i dischi sono sempre un compromesso tra forza frenante e bassa inerzia.
Le pasticche si dividono in due famiglie di prodotti.
Le “organiche” e le “sinterizzate”,( tralasciamo le semi-metalliche, che sono a tutti gli effetti delle organiche con tenori di metallo più o meno elevati)

Tutte le pasticche hanno in comune la piastrina fatta in acciaio che spazia dal Fe32 al C45, essa fa contemporaneamente da guida nella pinza e da interfaccia tra il materiale di attrito ed i pistoncini metallici.
La piastrina può essere rivestita con vari materiali (zinco, rame) o verniciata per evitare la ruggine.

Arriviamo ad un bivio e le nostre pasticche organiche e sinterizzate si dividono.

Partiamo dalle prime, il materiale frenante è “incollato” chimicamente alla piastrina tramite un “primer” una vernice adesiva compatibile sia con l’acciaio nudo che con la miscela di componenti per l’attrito.

pastiglie-freni-organiche
LA MESCOLA ORGANICA
Anche questa miscela di polveri è una “ricetta” segreta di ogni costruttore che varia a secondo del tipo di impianto o uso,: anteriore o posteriore,superficie di attrito ampia o ridotta, da strada o da fuoristrada, da competizione o da uso quotidiano.
La pasticca organica in realtà è composta da due diverse miscele: a ridosso del primer (ultima ad essere consumata) ce ne è una che contiene meno materiali di attrito, e molta “vermiculite” , un materiale con alte caratteristiche di resistenza alla temperatura e ottima elasticità che fa insieme da barriera termica tra la pasticca e la pinza e da isolante nei confronti di vibrazioni e rumore.
Essa ha, una volta che la parte esterna si è consumata, delle prestazioni decorose ma non paragonabili alla prima parte e non ha la stessa durata.
La mescola delle pasticche è composta da molti componenti diversi, si parte dalle Resine leganti: (fenoliche o organiche), Fibre: che costituiscono circa il 60% della mescola e sono perlopiù fibre corte metalliche ed organiche (Kevlar allo stato grezzo), Lubrificanti solidi: Carbonio purissimo allo stato di grafite e per finire gli Abrasivi: Corindoni, Silicato di zirconio e simili.

 

 

pastiglie-freno-sinterizzate
LA MESCOLA SINTERIZZATA
Le pasticche sinterizzate sono la seconda grande famiglia.
In esse la formulazione è apparentemente più semplice: nella mescola sono presenti polveri metalliche e altri materiali con le stesse funzioni sopra elencate, mentre sono assolutamente escluse fibre organiche o resine.
La mescola delle polveri è omogenea e non diversificata tra parte interna e parte esterna, quello che cambia radicalmente è il ciclo di cottura, il materiale di attrito è sottoposto ad alta pressione combinata ad alte temperature (minimo 800° contro i 250° delle organiche).
In questa fase si porta in fusione parziale o totale una parte dei metalli, tipicamente la polvere di rame che costituisce circa il 50% della mescola.
I componenti fusi uniranno nel processo di “sinterizzazione” tutte le altre polveri, oltre che la pasticca alla placchetta metallica, per questo motivo le placchette spesso sono ramate cosi che tra la placchetta e la pasticca ci sia una vera e propria saldatura..

Le grandi differenze tra le due famiglie di pasticche freno sono la costanza del coefficiente di attrito e la trasmissione di calore.
Le pasticche sinterizzate mantengono pressoché invariato il proprio coefficiente di attrito al variare delle temperature, purtroppo, essendo costituite quasi interamente da metalli, trasmettono gran parte del calore alla pinza freno.

Le organiche invece possono essere costruite per un certo range di temperatura di esercizio, con coefficiente di attrito quasi costante all’interno e variazioni più marcate al di fuori.

Il limite alla temperatura è il “Vapor Lock” una lubrificazione da gas.

Ogni mescola sopra ad una certa temperatura, lascia evaporare alcuni componenti sulla sua superficie: questi creano un cuscinetto di gas tra pasticca e disco, riducendo progressivamente la forza frenante.
Questo effetto diverso dal “Fading” che avviene all’interno delle pinze e delle tubazioni, è ridotto dalle forature sui dischi o dalle eventuali nicchie e intagli sulle pasticche che agiscono da sistemi di espulsione del gas: è quindi abbastanza semplice distinguere i due fenomeni.

Ed infine una piccola nota per i più curiosi: Quando freniamo e i dischi insieme alle pasticche fanno il loro lavoro, sviluppiamo una potenza enorme, su una moto sportiva in frenata su strada può richiedere circa 50Kw, contando su circa 3kg di dischi e 440g. di pasticche, uno scooter può richiedere 10Kw su un disco freno da 800g. e 70g. di pasticche, risultato?
In termini di potenza da smaltire la sportiva, richiede alle pasticche freno 14,5W per grammo, lo scooter 13W per grammo.

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